martedì 1 settembre 2015

La porta dell'occidente



"Bravi, bravi. ma lo sapete che se vi prende la polizia vi fa la multa? fino a cinquecento euro. è un reato, trasportare quelli".  Dal suo motorino il greco ci osserva. parcheggiato davanti alla sua attività, guarda scorrere il fiume di gente che si mette in fila alle informazioni al porto, appena arriva a Mitilene. Ci guarda con disprezzo, mentre facciamo scendere e salutiamo i due ragazzi afgani che abbiamo fatto salire venti chilometri prima, mentre camminavano sotto il sole cocente. Una goccia nel mare. Parlano si e no tre parole di inglese, arrivano a malapena ai vent'anni. Uno sorride e ringrazia mentre gli passo una bottiglietta d'acqua, un pacco di biscotti al cioccolato, un rifacimento greco dei cookies. Li rivolta fra le mani guardandoli come una cosa che si vede per la prima volta. Magari è così, sono i primi cookies che vede in vita sua. Magari invece sono i suoi biscotti preferiti, oppure gli hanno sempre fatto schifo. Lui sorride e ringrazia, ha gli occhi scurissimi curiosi e pieni di vita. L'altro no. Ha gli occhi blu verde fango, e non sorride, ringrazia, ma è sfinito e incerto. Non capisce una parola.
Anche loro saranno sbarcati a Skala Sikamineas o a Molyvos, con un gommone carico di gente partito dalla Turchia appena buio, con un giubbotto salvagente e uno zaino minuscolo sulle spalle. Come gli altri - centinaia ogni sera, un approdo dietro l'altro, gesti sempre uguali: sgonfiare il gommone in fretta, togliere i giubbotti salvagente e ammucchiarli sulla riva, entrare nel minuscolo porto in processione silenziosa, guardinga, cercando di non dare nell'occhio. In quella piccola piazza di cento abitanti e qualche turista comprano da bere e da mangiare al supermercatino locale, che riapre per l'occasione. Tirano il fiato mezz'ora, poi iniziano la salita verso il punto di raccolta, dove forse il giorno dopo arriverà un autobus. Si sdraiano in un piccolo spiazzo laterale, dopo la curva a gomito che va verso Mitilene, si affastellano uno accanto all'altro lungo la strada che va verso Petra. Nel buio totale, nell'indifferenza generale. Molti ragazzi, intere famiglie, tanti bambini, qualche vecchio che fa più impressione di tutti. 
Ma l'autobus non sempre arriva, a volte è troppo carico, tocca partire a piedi, percorrere i sessanta chilometri che li separano dalla città. I luoghi d'ombra sono pochissimi, e per un tratto di strada che pare infinito non troveranno nessun posto dove comprare acqua o cibo. Se va bene i pochi turisti rallentano, dalla macchina gli allungano bottiglie d'acqua, a Skala Sikamineas qualche giovane tedesca si avvicina con biscotti e altro in una busta, a Molyvos una bionda in motorino porta derrate alimentari o vestiti su e giù dal punto di raccolta, un grosso spiazzo ai piedi della città, dal quale si gode una magnifica vista del castello. Forse una volontaria, chissà se greca: la prima e unica che vediamo. Silenziosamente, con circospezione. Qualche chilometro prima di Mitilene c'è un'area commerciale, con un paio di grossi supermercati a poca distanza fra loro. Qui ci dev'essere una specie di campo, non abbiamo capito se spontaneo o organizzato; all'ingresso c'è un furgoncino ambulante che frigge non so cosa, come i venditori di brigidini o di ciambelle nelle sagre di paese. La gente sta per strada, a capannelli, spesso in movimento, intorno a questo stradello che porta a una distesa di tende. I taxi di Mitilene fanno su e giù, col pagare, s'intende. C'è sempre qualcuno che si fa portare in città appena si riprende, per andare alla polizia a fare i documenti di imbarco per una nuova destinazione. Il venditore di tende, qualche posto sul genere di Decathlon, con questi siriani sta facendo affari d'oro: le montano dovunque, anche sul marciapiede. Tutti i giardini pubblici e le aree verdi di Mitilene, al centro della città, sono pieni di tende. Finora abbiamo visto cinque macchine della polizia. Due erano parcheggiate davanti al Comando, una era sulla curva a gomito sopra lo spiazzo rifugio a tre o quattro chilometri da Skala Sikemineas, una sera che erano arrivate due o trecento persone; un altro paio giravano in città. Qualche volta abbiamo visto due pick up stracolmi di gente in piedi, nel cassone. Volontari, contadini che arrotondano le entrate? Chissà. 
Tutti i giorni, a tutte le ore, anche nel buio totale, colonne di uomini e donne e bambini camminano al bordo della strada, su entrambi i lati, li abbiamo visti dormire sotto un unico albero uno sull'altro di giorno, o ai bordi dell'asfalto di notte, a rischio della vita. File di magliette ad asciugare a ogni rete di fil di ferro lungo la strada, vicino alle tende, accanto ai punti di raccolta dove aspettano il bus. A Moria c'è un campo dove mandano gli afgani, ho letto da qualche parte in rete. Ci siamo passati davanti ieri: visto da fuori sembra un carcere di massima sicurezza, con i fari e il filo spinato arricciolato doppio, in alto. La gente fa avanti e indietro, va verso il paese a comprare da mangiare, si accampa in tenda nell'uliveto accanto. Il paese è impressionante. Gli afgani in giro per Moria sono il triplo dei suoi abitanti. tutti si muovono, vanno in tutte le direzioni.
Il primo giorno abbiamo fatto salire tre persone, una donna e due uomini. Giovani, la donna serissima, forse la madre di uno dei due. Palestinesi, venivano dalla Siria, a ogni curva si appisolavano sfiniti dalla stanchezza. Diretti in Olanda, ci hanno detto. Abbiamo comprato acqua, mele, biscotti. Il giorno dopo abbiamo portato una famiglia siriana con due bambini piccoli, solo fino a Mantamados, quindici chilometri dopo. Abbiamo caricato tutti i bagagli del loro gruppo, si sono dati appuntamento. Lo stesso giorno, abbiamo preso a bordo i ragazzi afgani, fino a Mitilene.
Mentre cercavamo Carini, tre case che pensavamo fossero un paese, ci hanno chiesto un altro passaggio. Era un tedesco, andava ad Agiassos. Noi andiamo a Carini, gli abbiamo detto, ma poi lo abbiamo portato dove doveva andare, anche se ci eravamo appena stati. Come fai a lasciare a piedi uno che non ne può più di camminare sotto il sole? Anche se ci ha schiacciato i dolcetti tipici con lo zaino che nel mentre ci pisciava un'intera bottiglia d'acqua sul sedile e puzzava come un caprone, non potevamo lasciarlo lì, nel nulla.
Oggi siamo andati a sud della città, pensando che da lì non sbarcasse nessuno, in cerca di una spiaggia indicata dall'albergatrice. Abbiamo trovato centinaia di metri di vegetazione in cenere e una lunga colonna di persone sbarcate lì, a quella spiaggia in mezzo alla cenere.  Proprio oggi avevamo già finito le scorte d'acqua. Nessun luogo dove fermarsi, o fontana pubblica, o bar alla vista, ancora per chilometri e chilometri, a piedi, in salita. I nostri ultimi ospiti erano due uomini, una giovane donna sfinita, il suo bambino di pochi mesi. Per strada, chi ci vedeva passare faceva segno con il pollice verso la bocca, gli occhi in fiamme. La sete.

Mitilene, città santa dell'esodo, la porta dell'occidente. 

sabato 6 dicembre 2014

cambiamenti


Fotografo della mia casa
memoria per tratti, che porti
a richiamo dell'amo del tempo
collocato a caso e a ritroso.
Di qui, vorrei ricordare
che ho pianto assai meno che altrove.
Nonostante il rumore di clacson che sale
e la tua viandanza all'amore
ho avuto chiara la traccia, felice il partire
a cercarsi diversi.
Scrigno aperto, affacciato alla piazza
e ornato di colori e di fiori
è stata, qui, la mia strada del libero arbitrio.

Libertà è il bene prezioso cercato
con l'ostinazione di chi ne conosce il profumo
ogni volta che allenta la morsa.

Ogni volta a morsa allentata si sparge
un chiarore di altra presenza,
e le cellule sanno già tutto per averlo sempre saputo.
avere altri occhi,
terra buona per i miei semi
venuti alla luce, concimati con cura.

Libertà di levarsi gli scudi
e le mutande con grazia,
lasciare la luce accesa e la porta aperta,
di far entrare tutti, buoni o tossici,
guardarli con attenzione
e poi ascoltare le cellule, che l'hanno sempre saputo.

Gramsci

Quando discuti con un avversario, prova a metterti nei suoi panni.
Lo comprenderai meglio e forse finirai con l'accorgerti che ha un po', o molto, di ragione. Ho seguito per qualche tempo questo consiglio dei saggi.
Ma i panni dei miei avversari erano così sudici che ho concluso: è meglio essere ingiusto qualche volta che provare di nuovo questo schifo che fa svenire.

Antonio Gramsci

Integrità di sogni

I sogni e la memoria sono fatti che non vanno perduti
sdrucciolando in questo lunapark alla rovescia.
sognare sembra un premio e invece è l'unica fatica
da percorrere sicuri.


Ti pare che non ci sia tempo per restare integri in qualcosa, invece la radice non si perde mai, casomai il tempo, casomai le occasioni, non sono certo i sogni che vanno perduti, a meno di lasciarli per un domani di fatiche e basta. Non ci credo che non ci siano strade diverse da questa fatica di perdere il proprio centro. Non ci credo che si possa solo faticare e faticare, senza lasciarsi spazio che non sia di sfogo sulla vita di merda che ti costruisci. Se ci credessi non avrebbero senso la lettura, la letteratura, l'arte. Non avrebbe senso darsi una dimensione in questo panorama, non avrebbe senso alzarsi la mattina e correre, e correre.  

che piova

quello
di cui manco, che se fossi
piena anziché muta
sarei quel che ero ancora e ancora.

Sarà.
Una novella del buon umore,
l'assenza.

quello di cui manco
per dispetto,
irriverente, indifferente.

Allora non resta
che fare una torta di briciole
di quello che non torna.

Non c'è torto o ragione,
ma il radiatore è bucato e viaggi
senza mettere acqua, aspetti che piova.

venerdì 21 novembre 2014

Verità e riconciliazione

Pensavo di vedere anche la riconciliazione oltre la verità nello spettacolo Ubu and the Truth Commission, invece il livello di pesantezza è stato tale da far perdere forza alla messa in scena, e alle molte cose belle che conteneva. Dall'orrore non c'è scampo se la riconciliazione non emerge, sono solo vagoni di sangue, ossa rotte, botte, esplosioni, omicidi e torture. L'idea della riconciliazione è una prova di grandissimo coraggio: tutta la comunità è ferita a morte, deve poter curare quelle ferite a costo di riaprirle, per pulirne l'infezione. E lo deve fare collettivamente, altrimenti la vita non riserva più altro che una catena di dolore personale dal quale nessuno potrà partire per una trasformazione, rimane solo la possibilità dell'oblio, che non scalfisce nemmeno un po' questo pozzo di orrore. Certo non è mica tarallucci e vino, ma ha molto più senso che aspettare che passi 'a nuttata, come in tanti hanno fatto qui dopo la caduta del regime fascista, a fare finta che non fosse successo nulla oppure si, è successo, però ovvia ormai è passato, andiamo oltre, senza ripensarsi collettivamente: e ne vediamo bene gli effetti, settant'anni dopo.
Il sedimento non muta la sua natura, l'humus è avvelenato, i morti sono invano, non hanno ri-conoscenza, s'ammucchiano senza identità come nelle dittature sudamericane, come in tutto il mondo. L'apartheid torna facilmente, si sposta più a nord, si allarga a macchia d'olio; si paga solo a volte, e chi paga a volte non si ripensa affatto, che è quasi come non aver pagato nulla.

Sul lavoro del tribunale per la verità e la riconciliazione:
http://www.presentepassato.it/Dossier/Diritti_98/14commissione_verita.htm


martedì 11 marzo 2014

TrediciMarzo

"[...] Segnatelo in cima alla vostra prima pagina:
Non odio la gente
Né ho mai abusato di alcuno
ma se divento affamato
La carne dell’usurpatore diverrà il mio cibo.
Prestate attenzione!
Prestate attenzione!
Alla mia collera
Ed alla mia fame!"
(Mahmoud Darwish)

Guardare la strada dalla via parallela è lo sguardo del poeta, mentre cuocio riso basmati per la tirocinante e ignoro le scadenze. Cosa avranno da scadere le scadenze? non prendono mai la parallela? 

La poesia ha il potere di non scadere, una strada che diventa anche un pezzo della mia, senza georeferenziazione. Libera dai luoghi, dagli anni, dalla pelle e dal genere. Una cosa libera in questa valle di vincoli. La poesia non è stare sull'albero a cantare, no. 

Tu non sai:
ci sono betulle che di notte
levano le loro radici,
e tu non crederesti mai
che di notte gli alberi
camminano o diventano sogni.
Pensa che in un albero c'è un
violino d'amore.
Pensa che un albero canta e ride.
Pensa che un albero sta
in un crepaccio e poi diventa vita.
Te l'ho già detto: i poeti non si redimono,
vanno lasciati volare tra gli alberi
come usignoli pronti a morire.
(Alda Merini)

Anche i poeti di notte camminano o diventano sogni. 
Buon compleanno, Darwish!